“Ho perso il gusto, non ha sapore, quest’alito di angelo, che, mi lecca il cuore”, cantava Manuel Agnelli, in un brano dell’ultimo album quasi ascoltabile di una band dai momenti artistici alquanto discutibili.
E’ possibile perdere il gusto di andare a pesca?
A me non è capitato. Non prevedo il futuro, ma non credo possa accadere. O perlomeno, non fino a che troverò soddisfazione nel godermi albe e tramonti, nell’agganciare pesci e godermi la natura.
E’ chiaro, però, che un minimo di soddisfazione debba esserci.
Mi spiego.
Per valutazioni errate o uscite forzate, nel senso che il tempo disponibile è quello che mi ritaglio, a volte non vedo l’ombra di un pesce. E mai frase fu più falsa, “Oggi non c’è pesce”. Il pesce c’è, ma lo prenderà qualcun’altro.
Se non avessi dalla mia parte la statistica, ergo, una media soddisfacente di pesci per le uscite che faccio, mi sarei dato all’ippica. O meglio, mi sarei fermato a ragionare sui perché dei miei cappotti, cosa che generalmente non accade.
A prescindere, non avrei mollato il colpo. Quando uno non vede pesci da mesi, pur uscendo a pesca tutti i giorni, qualche domanda deve pur farsela.
E sopratutto, quello che non deve mai mancarmi, è la sfida. Per comodità e mancanza di tempo, molto spesso le scogliere vicino a casa sono una salvezza, quando le condizioni giuste ci supportano.
Ma quando il tempo è dalla mia parte, il nirvana è l’esplorazione. Sarà pur vero che la costa, in fin dei conti, è la stessa per centinaia di chilometri, ma vuoi mettere la soddisfazione, oltre che bucare negli spot di comodo, anche in quelli trovati su google maps?
Una punta, una piana, una strada di montagna (in cui il ginocchio di Lelluccio, caro amico da una vita, ha dato forfait), le rocce di una spiaggia, qualsiasi spot in cui, almeno io non avevo messo ancora piede.
Cosa accadrebbe se avessi la pappa pronta? è capitato.
Tutti iniziamo così. Un amico che ci porta a pesca e ha la pazienza di istruirci. Poi alcuni restano amici e condividono le tue stesse idee sulla pesca, altri pensano solo a bucare più pesci possibili, cercare i big like e andare negli spot, a loro volta, con altri aspiranti guru.
So che in tanti vi ritroverete in questa osservazione. Qualcuno, potrebbe pure farla su di me. Pazienza, il mondo è bello perché è vario, è difficile, e sopratutto non mi interessa, stare simpatico a tutti.
Dicevo, cosa accadrebbe, se venisse fornita la pappa pronta, ma dopo non si procedesse autonomamente alla ricerca della propria individualità? Se, per esempio, vi fornissero i punti in cui andare a pesca, senza nessun background, nessuna esperienza, e per sfortuna vostra, qualche pesce lo bucate pure?
E, situazione da non sottovalutare, scambiereste la fortuna del principiante con la verità assoluta, pubblicando sui social foto di pesci suicida, dilvulgando il verbo della pescata perfetta?
Accadrebbe che le successive 200 volte non vedreste un pesce. Seppur gli spot ve gli hanno regalati. Perchè sappiamo bene che lo spot è una delle variabili, non la variabile. E se avete collezionato sul serio 200 cappotti, forse è meglio davvero darsi all’ippica.
Sarà una deformazione professionale, ma ritengo che lo studio debba accompagnare l’esperienza. Per quel poco che ho capito della pesca, bisogna andare al mare e sperimentare, non è un ambiente in cui dogmi la fanno da padrone.
Certamente, per i normodotati, certe cose vengono naturali, al fine di aumentare le probabilità di agganciare un pesce.
Perderei il gusto, se non potessi sperimentare, se le regole fossero sempre le stesse, se pescassi ogni singola volta che sperimento un posto nuovo, un esca nuova, una condizione particolare.
Poi è chiaro, come già detto, che le confort zone sono utilissime in periodi particolarmente impegnativi.
Il dramma dei tempi moderni, è che la sensazione che trasmettono alcuni pescatori, è quella del voler bucare per forza, che il carburante che spinge la pescata sia la foto e non il contesto alieuticamente appagante dal quale dovremo essere circondanti.
E la necessità di pescare per forza, genera mostri che trasformano la pesca in una gara, con metri di stoffa e misure fasulle.
La gara a chi lo prende più grosso, la lascio con piacere a chi ha il piacere di parteciparvi.
Mi rendo conto di essere rimasto mesi senza scrivere una parola, seppur pieno di foto e di racconti da pubblicare, ma trasferirmi in un altra città, così lontano dalle mie coste, rende tutto più complicato, considerando il sempre meno tempo.
Ed anche in questo, so che in tanti si ritroveranno.
Pazienza, vorrà dire che ci godremo di più i (pochi) momenti di libertà passati al mare, grati di quanto già visto e già vissuto.
E quello che non deve mai mancare, nella pesca, è un buon amico che condivida in maniera onesta e sana la passione, i pesci, i bei momenti, che sia pilastro nei cappotti e felicità nelle pescate.
Io non mi posso certo lamentare, sopratutto quando la pesca non è il fine, ma il mezzo per passare delle belle giornate assieme.
Quando poi viene a pesca di lampughe, e ti anticipa anche sulla cattura, il dubbio più che lecito è: sarà il manico, o sarà culo?
Sperando di tornare presto ad avere il tempo di scrivere, vi lascio con l’augurio che la pesca sia per voi momento di condivisione, relax, allontanamento dai problemi quotidiani, e non la sfida a chi pesca di più.
Anche perchè, in questo caso, c’è sempre chi lo prende (o la racconta) pià grossa di voi.
Zio patte